Gli italiani sono arrivati a lavorare in Germania in seguito agli accordi bilaterali del 1955 per il reclutamento di “forza lavoro” che si basava sul principio di rotazione. Tale principio che prevedeva un periodo di permanenza limitato degli immigrati fu ben presto disatteso, tanto da chi si era stabilito sul posto ed aveva trovato in molti casi oltre al lavoro una nuova vita “sociale”, quanto dagli industriali stessi che li avevano assunti, costretti da tale principio a ricominciare la formazione di nuovi lavoratori. Tutto ciò andò avanti fino al 1973, quando il Governo tedesco decise un blocco delle politiche di reclutamento, il cosiddetto Anwerbstop. Questo blocco, e la politica di sostegno al rientro dell’inizio degli anni ottanta, fece diminuire il numero di lavoratori immigrati.

A parte gli immigrati italiani, che come cittadini di uno stato membro dell’allora Comunità Economica Europea godevano nel frattempo della libera circolazione tra gli stati membri, per gli altri stranieri l’emigrazione verso la Germania era possibile soltanto come profughi o nell’ambito dei ricongiungimenti familiari.

Bisogna fare una distinzione fra le nuove generazioni e quelle di data più remota. Anche fra quest’ultime il classico stereotipo del lavoratore sbarcato qui da una realtà provinciale italiana non sempre corrisponde alla realtà dei singoli individui.

Se negli anni sessanta e settanta la Germania si caratterizzava come stato del welfare e agli stranieri era possibile partecipare attraverso il sistema del welfare ai diritti di cittadinanza sociale, che tramite l’impegno nei sindacati acquistavano anche una implicazione politica, i processi economici e sociali degli ultimi anni, riducendo i posti lavoro nell’industria, hanno di fatto eliminato la possibilità di un’inclusione attraverso il sistema del welfare. Venendo a mancare questa forma indiretta di inclusione socio-politica ed essendo ancora esclusi da una più ampia partecipazione generale ai diritti di cittadinanza, gli immigrati vivono una doppia discriminazione.

Questa nuova emigrazione è diversa da quella delle “valigie di cartone”. I giovani che partono molto spesso portano con se un grande bagaglio culturale: sono laureati, diplomati, parlano qualche lingua straniera e sono già stati un po’ in giro per il mondo.

La crisi del lavoro in Italia colpisce anche gli strati meno abbienti della società. E allora sono tante le famiglie, specialmente giovani, che cercano l’avventura dell’estero e molti vengono in Germania …spesso sulle orme dei loro padri o nonni che un giorno sono emigrati e poi rientrati in Italia.

La storia dell’emigrazione italiana in Germania é sicuramente ricca di colori diversi.

Ma rimane il fatto che gli immigrati italiani hanno arricchito la Germania, rendendola un po’ più dolce e un po’ più latina.