L’8 Agosto 1956 un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica, riempì di fumo tutto l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone, di cui 136 immigrati italiani.

Il disastro di Marcinelle rappresenta la storia drammatica dell’emigrazione italiana del dopo guerra. Il ’56 è ricordato come l’anno di Marcinelle, le vittime invece simbolo geografico della disperazione italiana che ha portato la fuga di migliaia di italiani oltralpe in cerca di occupazione e di una condizione di vita migliore. Tra le vittime, si ritrovano concittadini di origine abruzzese, pugliese, marchigiani, friulani, molisani, siciliani e molte altre regioni da Sud a Nord del Paese. Per conoscere a fondo l’evento sconcertante che ebbe luogo in Belgio, è doveroso ripercorrere il contesto storico in Italia e in Belgio fin dall’anno successivo alla Seconda Guerra Mondiale.

Si può a ben ragione affermare che l’emigrazione italiana in Belgio nella metà del secolo scorso sia stata la prosecuzione della guerra appena terminata con altri mezzi. La richiesta di manodopera in Belgio per l’estrazione del carbone ha portato nel 1946 al “Protocollo Italo-Belga” in cui l’Italia si impegnava a inviare 50000 italiani per lavorare nelle miniere belghe in cambio di carbone, una risorsa energetica allora molto importante. Così, flussi importanti di connazionali si precipitarono a chiudere i loro bagagli, lasciare le proprie famiglie e la loro amata terra per ritrovarsi ignari, da lì a poco, sottoterra a lavorare duramente con volti e corpi anneriti, in condizioni precarie, per utilizzare un eufemismo. La partenza dei nostri concittadini, emigrati con la speranza di trovare in terra straniera ciò che in terra natia gli era impossibile cercare (un semplice posto di lavoro, il minimo sindacabile), si concluse tragicamente con il disastro di Marcinelle. Un evento simbolo della non curanza delle istituzioni nazionali ed estere riguardo agli aspetti (e non solo) della tutela e salvaguardia dei lavoratori italiani, all’estero così come nell’Italia post bellica. I “volontari” furono stipati in treni senza sbocchi di aria, in un viaggio che poteva durare giorni e che, una volta arrivati a destinazione, furono “ospitati” negli stessi edifici in cui, prima del loro arrivo, soggiorono prigionieri tedeschi e sovietici, impiegati nell’estrazione del carbone, in pratica una sorta di riutilizzo dei campi da concentramento.

Non c’è minatore che non abbia contratto la silicosi polmonare, una malattia letale causata dall’inalazione prolungata di biossido di silicio, presente nelle miniere di carbone. La silicosi uccideva, annualmente, più di 3000 operai senza distinzione di nazionalità. Questa, peraltro, malattia sarà riconosciuta solo nel 1964.

Oggi possiamo affermare che il disastro di Marcinelle fu frutto di un errore umano che costò la vita a tanti “figli” d’Italia, di età compresa tra 18 e 40 anni. Figli delle guerre, vittime di un destino che poteva essere diverso! Eroi, per lo più sconosciuti, che si sono sacrificati per produrre ricchezza nei vari paesi di destinazione e, come spesso succede, c’è sempre qualcuno che paga un prezzo più alto! Molto del benessere che oggi disponiamo è il fiore più bello di un passato in cui qualcuno ha pagato un prezzo elevato. Un prezzo che non si può dimenticare e non si può perdere nell’amnesia storica della nostra cultura comune.